Ode al bikini, complice ora e per sempre delle nostre tintarelle e della body positive.
Il segreto della giovinezza? Potremmo dire quello di indossare senza se e senza, con piena disinvoltura un bikini, più che mai quest’anno che ha compiuto 75 anni. E la sua longevità nel closet dei costumi cult dell’estate ancora adesso, è proprio quanto si attendeva per mettere una bella x sulla prova costume, non per superarla ma gentilmente dimenticarla.
Non che il costume intero non si difenda bene, ma la libertà del bikini, racchiusa nella sua storia che sa di emancipazione – e ne sa davvero tanto se pensiamo che lo vediamo indossare in versione top da atlete in mosaici storici, segno che nell’antichità il bikini già spopolava -, e libero anche nei suoi due pezzi, gli dona un fascino speciale a cui non si può e non si deve rinunciare.
Il bikini: perché si chiama così
Quando è nato in assoluto il primo bikini? Il suo compleanno cade il 5 Luglio, ma come si è giunti alla sua creazione: come spesso accade per necessità, perché dopo la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti, la poca stoffa disponibile rese inevitabile realizzare costumi minimal. Il primo modello risale al 1932: fu realizzato dal couturier parigino Jacques Heim, e si chiamava Atome.
Poche ebbero il coraggio di indossare il primo costume due pezzi della storia. Nel 1946 ci riprova l’ex ingegnere automobilistico e designer Louis Rèard, che ne propone un modello ancora più ristretto, che prese il nome Bikini, ispirato all’atollo atomico delle Isole Marshall, e che ebbe il coraggio di indossare solo la ballerina francese Micheline Bernardini. Da lì il successo del due pezzi fu fulminante.
Quando il due pezzi diventa must-have: dal cinema alla spiaggia
Il cinema si può dire sia stato fondamentale a sdoganare il bikini e farne un must have pop d’estate. Pensiamo a Brigitte Bardot che a Cannes indossò nel 1953 un modello composto da fascia e vita alta, in bianco e ricoperto di fiori, contribuendo alla popolarità del due pezzi.
Ma non solo lei, perché nel 1962 segna un vero e proprio spartiacque Ursula Andress in Licenza di uccidere, con il suo bikini avorio con cintura in vita. Un modello iconico, che da lì in poi inizierà a scatenare una vera e propria mania, fino al modello californiano a triangolo: colorato, sexy, sbarazzino, ma sempre visto come un lusso per poche, per fisici scolpiti, con la maledizione della prova costume annessa.
Qualcosa però nell’aria, nel corso del tempo, e per fortuna è cambiato: una brezza nuova, audace, che finalmente inizia a far cadere un po’ di questi limiti – imposti da chi, cosa e perché non si sa – con una sana e fresca body positive. E l’ultimo bikini sfoggiato da Lizzo ne è la bandiera che vogliamo sventolare. Bikini per tutte!